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Patti di famiglia e cambio generazionale. La divisione ereditaria

I patti di famiglia rappresentano uno strumento molto efficace, e soprattutto lecito, per dare continuità all’azienda familiare.
A differenza dei patti successori, infatti, rigorosamente vietati dal nostro ordinamento giuridico e di cui i patti di famiglia rappresentano un’eccezione, sono veri e propri contratti attraverso i quali il capostipite assicura continuità nella gestione della propria impresa, evitando in tal modo liti sull’eredità e preservando la continuità dell’azienda stessa.
Ma esaminiamo più nel dettaglio questo fondamentale istituto, molto utilizzato nel cambio generazionale.

I patti di famiglia nel cambio generazionale: cosa sono ed a cosa servono.
L’istituto del patto di famiglia è stato riconosciuto ed introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla Legge n. 55/2016, che ha a sua volta formulato i nuovi artt. da 768 bis a 768 octies del codice civile.

Con tale definizione vengono ricomprese tutte quelle disposizioni, stipulate sotto forma di contratti perfettamente legittimi, mediante le quali un soggetto – id est un imprenditore – trasferisce la propria azienda o le proprie partecipazioni (in tutto o in parte) ad uno o più discendenti.

Appare evidente come si tratti di accordi familiari definiti in funzione della gestione della società di famiglia. Il loro scopo, infatti, è assicurare la continuità nella gestione dell’impresa, evitando liti sull’eredità e preservando in tal modo l’azienda.

Cenni storici
Prima dell’introduzione del patto di famiglia, gli unici strumenti legittimi a disposizione dell’imprenditore ancora in vita che volesse preservare la azienda erano:

  • donazione d’azienda;
  • vendita dell’azienda;
  • al limite, il trust.
    Questi istituti si erano però appalesati non idonei al raggiungimento dello scopo in quanto risultava difficile rispettare il diritto alle quote di legittima degli eredi e in quanto non veniva fissato il valore del bene donato al momento della stipula dell’atto.
    Si trattava, in buona sostanza, di atti esposti ad azione di riduzione per lesione di legittima.

Tali inadeguatezze normative, in uno ad una forte spinta europea, hanno determinato l’introduzione del patto di famiglia con la citata Legge n. 55/2016.

Il dettato normativo
Analizzando nello specifico la normativa dettata in materia di patti di famiglia, essi si sostanziano, nella loro struttura più semplice ed essenziale (art. 768 bis c.c.):

  • Nel trasferimento gratuito da parte dell’imprenditore in favore di uno dei suoi discendenti avente ad oggetto un’azienda o una partecipazione societaria;
  • Nell’attribuzione, effettuata dal beneficiario, a favore di altro legittimario, di una liquidazione dei relativi diritti successori ai sensi dell’art 768 quater
  • Nella rinuncia, da parte di legittimari partecipanti al patto medesimo, alla liquidazione di detti diritti.

Attraverso questo contratto tipico, quindi, un imprenditore o un detentore di partecipazioni societarie può trasferire in tutto o in parte l’azienda o le quote a uno o più discendenti.
Questi ultimi, a loro volta, sono obbligati a liquidare (o per meglio dire quantificare), in proporzione al valore dell’azienda, le “virtuali” quote di legittima che potrebbero essere vantate dagli altri successibili se la successione si aprisse al momento della stipula del contratto.

Il divieto dei patti successori: la differenza con i patti di famiglia.
Dopo una prima, generale, definizione di patti di famiglia – e prima di addentrarci meglio nella loro analisi – è opportuno analizzare meglio i patti successori, con specifico riferimento al motivo per il quale essi sono vietati dall’ordinamento.

Sotto il termine “patti successori” vengono abitualmente ricomprese tutte quelle convenzioni mediante le quali un soggetto:

  • dispone della propria eredità prima della morte
  • dispone di diritti che potrebbero venire da una successione non ancora aperta
  • rinuncia a diritti che potrebbero arrivare da una successione non ancora aperta.
    Con questi accordi, pertanto, sarebbe possibile disporre di propri beni o diritti (oppure di beni o diritti di terzi, ovvero ancora rinunciare ad essi) prima che la successione venga formalmente aperta. Ed è appunto per tale ragione che i patti successori sono contra legem: sono infatti contrari al principio, fondamentale, della revocabilità delle successioni testamentarie.

Sulla scorta di tale principio, le volontà espresse dal de cuius in sede testamentaria possono infatti sempre revocate prima che venga effettivamente aperta la successione.
Va da sé, pertanto, che stabilire in maniera irrevocabile mediante patti o convenzioni successorie il destino del proprio patrimonio (o di quello altrui) appare in aperto contrasto con questo fondamentale principio.
I patti di famiglia al contrario rappresentano un’eccezione al divieto dei patti successori.

Le problematiche civilistiche sollevate dai patti di famiglia.
L’introduzione dei patti di famiglia ha dato vita ad una serie di dubbi e nodi interpretativi, derivanti soprattutto proprio dalla previsione delle compensazioni a favore dei legittimari non assegnatari (dell’azienda o delle partecipazioni) e dal ruolo che essi possono assumere rispetto al contratto.

Più nello specifico, uno dei maggiori nodi da sciogliere è se dette compensazioni possano essere effettuate anche da parte del disponente (possessore d’azienda o detentore di partecipazioni) o esclusivamente dall’assegnatario.

Ulteriore questione, alla prima legata, è se detti legittimari siano da considerarsi parti del contratto o terzi.

Esaminiamole in dettaglio.

Patti di famiglia e questioni civilistiche.
La dottrina civilistica, pur trovandosi concorde nell’affermare che il patto di famiglia è un nuovo contratto tipico, ha tentato di trovare delle analogie tra esso e altri istituti già previsti dall’ordinamento.
Lo scopo principalmente è stato quello di individuare le regole applicabili, per estensione analogica, nel caso in cui sorgano delle controversie sulla successione e sulla validità del patto stesso.

Le ipotesi che sono state avanzate sono:

  1. donazione modale;
  2. negozio misto con donazione;
  3. successione anticipata con effetti divisionali, IV) contratto a favore di terzo.

Al di là delle categorizzazioni espresse, occorre muovere dal dato quasi unanimemente condiviso che il patto di famiglia sia un nuovo contratto tipico che trova la sua causa (unitaria e mista) nel mantenimento dell’integrità dell’azienda anche nel caso del passaggio generazionale

Ciò che si vuole indicare è che la meccanica e la funzione dell’istituto è piuttosto evidente: un soggetto imprenditore (o detentore di quote) vuole isolare, nell’ambito della successione, la sua attività imprenditoriale.
Nello stesso tempo la vuole trasferire a uno (o più) dei suoi discendenti, ma per far questo deve rispettare le quote di legittima degli altri successibili, almeno in ordine all’attività oggetto del patto.
In questo senso è prevista una liquidazione a loro favore (art. 768-quater). Questa liquidazione non significa contestuale pagamento da parte dell’assegnatario agli aventi diritto, ma significa che tale quota deve essere, semplicemente, quantificata; l’effettivo pagamento infatti è un dato che la norma prende in considerazione soprattutto per lasciare alea di movimento ai contraenti.

Dal momento tuttavia che è l’assegnatario (e non il disponente) che deve compensare gli altri familiari, egli potrebbe non avere la ricchezza necessaria per effettuare la dazione e, per questo motivo, probabilmente, il legislatore ha previsto che detta operazione possa avvenire successivamente con un secondo atto collegato al primo patto di famiglia.

Orbene, se tale parrebbe essere la costruzione legislativa (per cui i legittimari dovrebbero essere qualificati quali terzi), è anche vero che proprio questi ultimi hanno diritto ad essere tutelati. In questo senso è stato previsto che essi possano rinunciare alla liquidazione, ma, soprattutto, che essi possano non partecipare al contratto per poter poi richiedere la loro parte al momento dell’apertura della successione (768-sexies).

Detta parte sarà dunque composta sia dalla quota da riferirsi all’oggetto del patto di famiglia sia alla loro quota ordinaria di legittima sulla successione. Per quanto attiene alla prima quota essa non deve essere attualizzata, rispetto al momento di stipula del patto, ma deve essere corrisposta aumentata degli interessi legali.
Pertanto ai legittimari è questa la scelta che il legislatore pare lasciare: o avere la quota sull’oggetto del patto immediatamente, o averla successivamente aumentata degli interessi legali (sempreché non rinuncino alla liquidazione medesima).

Vantaggi fiscali dei patti di famiglia.
La legge prevede uno speciale regime agevolato per i trasferimenti di aziende familiari individuali o collettive, effettuati anche attraverso patti di famiglia, in favore dei discendenti purché venga rispettata una semplice condizione: che i beneficiari si impegnino a proseguire l’attività almeno per i successivi cinque anni.

In particolare, i patti di famiglia ai sensi dell’art 3, comma 4 D.Lgs 346/1990 vengono esentati da:

  • imposta di donazione
  • imposta di trascrizione per le relative formalità
  • imposta catastale per le relative volture
    Sul punto, tuttavia, appare opportuno citare la recente Sentenza Cass. Civile n. 32823/2018 che si è pronunciata in merito al regime fiscale del trasferimento effettuato da parte del beneficiario del patto di famiglia in favore del legittimario “pretermesso”.

Tale trasferimento, secondo i Supremi Giudici, è non solo soggetto ad imposizione fiscale (e dunque escluso dall’esenzione innanzi detta), ma al contrario è tassabile con franchigia ed aliquota vigente tra i due soggetti contraenti il patto di famiglia.

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