Hi, How Can We Help You?

Provvedimenti anticipatori di ...

Provvedimenti anticipatori di condanna

I provvedimenti anticipatori di condanna sono strumenti introdotti dal legislatore per la tutela del credito. In questo articolo esaminiamo in particolare l’ordinanza per il pagamento di somme non contestate (art. 186 bis cpc)

Con la riforma del processo ordinario di cognizione (Legge 353/90) il nostro sistema processuale si è arricchito di alcuni strumenti di tutela anticipatoria del credito.

Il legislatore ha introdotto gli artt. 186 bis e 186 ter cpc, mediante i quali ha attribuito il potere di emanare su istanza di parte e solo a contraddittorio instaurato provvedimenti a carattere condannatorio volti sia ad ottenere un più sollecito soddisfacimento del diritto di credito vantato dall’attore, sia ad impedire eventuali condotte dilatorie del debitore.

Si tratta, in pratica, di provvedimenti destinati a soddisfare l’esigenza di economia dei giudizi laddove la pretesa avanzata dal creditore, in base a criteri oggettivi, risulti presumibilmente fondata ovvero non contestata.

Successivamente a tale novella, il legislatore è nuovamente intervenuto introducendo un ulteriore rimedio di condanna con l’art. 186 quater cpc che prevede un’ordinanza da pronunciarsi dopo la chiusura dell’istruttoria e con la quale il giudice può disporre il pagamento ovvero la consegna o il rilascio di beni nei limiti in cui ritiene già raggiunta la prova.

Data la complessità dell’argomento da trattare, in questo articolo esamineremo nello specifico l’ordinanza per il pagamento di somme non contestate, disciplinata dall’art. 186 bis cpc.

Rimandiamo a successivi approfondimenti l’analisi degli altri due provvedimenti anticipatori di condanna introdotti dal legislatore.

Provvedimenti anticipatori di condanna: l’ordinanza per il pagamento di somme non contestate – I presupposti 

Il primo tra i nuovi provvedimenti introdotti è finalizzato al pagamento “delle somme non contestate dalle parti costituite”. Pertanto, i presupposti del provvedimento sono:

A. l’istanza di parte (anche orale) proponibile dall’atto introduttivo del giudizio sino all’udienza di precisazione delle conclusioni;

B. la non contestazione proveniente dalle parti costituite.

  1. L’ISTANZA DI PARTE

L’istanza di parte deve essere specificamente formulata; può essere contenuta nell’atto di citazione, ma anche proposta in seguito o oralmente in udienza (e di tanto si dà atto nel verbale) ovvero con separata richiesta scritta presentata anche fuori udienza. In tale ultima ipotesi, atteso il disposto dell’art. 186 bis così come modificato dalla l. 28.12.2005 n. 263, il giudice disporrà la comparizione delle parti assegnando un termine per la notificazione dell’istanza.

Quando proporre l’istanza?

Prima delle modifiche apportate al c.p.c. dalla l. 80/2005 e dalla l. 263/2005 era assolutamente sconsigliabile, per evidenti ragioni di opportunità, che il giudice provvedesse sull’istanza prima del libero interrogatorio delle parti all’esito del quale soltanto, il più delle volte, si ha una chiara definizione dei punti controversi tra le parti e di quelli dalle stesse non contestati.

Infatti  la dissociazione tra la prima udienza e l’udienza di trattazione, definitivamente sancita dalla l. 20 dicembre 1995, n. 534, aveva rinviato la comparizione delle parti alla prima udienza di trattazione; pertanto non vi era alcun dubbio che solo all’esito di tale udienza il giudice poteva essere in grado di provvedere sull’istanza ex art. 186 bis c.p.c. pur se antecedentemente proposta.

Ora tale esigenza è stata legislativamente prevista in quanto se, come detto, l’istanza è proposta fuori udienza il giudice deve disporre la comparizione delle parti e in tale occasione ben potrebbe disporre anche la comparizione personale delle parti ex art., 117 c.p.c.; invece se proposta in corso di udienza il giudice, per rispetto del principio del contraddittorio,  dovrà sempre fissare  udienza di comparizione delle parti per la discussione di tale istanza sicché tutta la problematica relativa al momento prima del quale non può essere pronunziata l’ordinanza sembra aver perso rilevanza.  

In definitiva, l’istanza può essere presentata sia in udienza (generalmente quella ex art. 183 cpc, ma anche in un momento successivo), sia fuori udienza. In tal caso il giudice deve fissare l’udienza di comparizione delle parti assegnando un termine per la notifica dell’istanza e del suo decreto.

Il termine finale per la pronuncia dell’ordinanza de qua coincide con l’udienza di precisazione delle conclusioni, oltre il quale verrebbe a cessare ogni ragione per l’adozione del provvedimento di cui si discute.

Altro dato importante da evidenziare è che l’ordinanza de qua non è mai ammessa in caso di sospensione o interruzione del processo.

Lo strumento anticipatorio di cui all’art. 186 bis c.p.c., è bene precisarlo, è ammissibile per il solo pagamento di somme di denaro e non già quindi per la consegna di cose o per crediti di altra natura; inoltre, data la necessità del requisito della non contestazione, non può trovare ingresso nel giudizio contumaciale.

E’ discusso se la somma per la quale si richiede il pagamento sia o meno comprensiva di interessi; in proposito la giurisprudenza formatasi ritiene più corretto distinguere tra interessi legali, che seguono automaticamente la sorte del capitale e per i quali non vi sono ostacoli alla loro menzione nell’ordinanza, dagli interessi convenzionali per i quali, invece, è possibile disporre il pagamento solo se non vi è puntuale contestazione da parte del debitore.

La discrezionalità del giudice nella concessione del provvedimento

L’art. 186 bis c.p.c. prevede che il giudice possa disporre il pagamento delle somme non contestate. Tale espressione induce dunque a ritenere che la pronuncia dell’ordinanza non sia un atto dovuto, mantenendo il giudice un margine di discrezionalità.

Il potere discrezionale attribuito dall’art. 186 bis all’istruttore è relativo non solo alla valutazione dei presupposti per la pronuncia dell’ordinanza ma anche all’apprezzamento dell’opportunità della stessa.

Il comma 3 dell’art. 186 bis cpc dispone che l’ordinanza è revocabile e modificabile sia dal Giudice istruttore nel successivo corso del giudizio, sia dal Collegio in sede di decisione. Né, peraltro, il provvedimento in parola può condizionare la sentenza di merito dalla quale è assorbito, sia nell’ipotesi in cui questa ne confermi il contenuto, sia nell’ipotesi in cui lo modifichi o, rigettando la domanda, implicitamente revochi il provvedimento stesso. (cfr. Cass. civ sez. III, sentenza 609/1998).

Emessa la sentenza di merito, tutte le questioni relative all’ordinanza perdono ogni rilevanza, rimanendo assorbite nell’impugnazione.

  • LA NON CONTESTAZIONE

Molto complessa è l’individuazione del significato dell’espressione “non contestazione di somme”. In particolare si discute se la non contestazionedebba riguardare il diritto di credito pecuniario fatto valere in giudizio (il diritto alle somme) ovvero i fatti costitutivi della domanda.

All’accoglimento della prima tesi sembra ostare un importante elemento di carattere testuale.

Recita infatti la norma “… su istanza di parte il giudice istruttore “può” disporre … il pagamento delle somme non contestate”. Infatti se si ritenesse che la non contestazione debba riguardare solo il quantum debeandum, cioè il mero ammontare delle somme dovute, non si spiegherebbe la discrezionalità attribuita al giudicante in presenza di una non contestazione “del diritto”.

Più rispondente alla logica del legislatore appare invece il pieno potere del giudice di vagliare in iure la fondatezza della domanda, potere a cui si riconnette la potestas di rigettare la domanda tutte le volte in cui i fatti incontestati non siano comunque idonei a sostenerla in diritto.

Ai fini dell’emanabilità dell’ordinanza, poi, non è richiesta la confessione o l’ammissione ma la non contestazione, che è essenzialmente un comportamento omissivo desumibile dalla complessiva strategia difensiva della parte.

Più problematico è invece stabilire il valore da attribuire alla contestazione generica e al silenzio. Secondo alcuni da tali comportamenti non può desumersi la non contestazione di cui si discute; per altri il mero silenzio della parte costituita equivale a non contestazione, essendo ormai il nostro sistema processuale caratterizzato da un onere ben preciso di dichiararsi sui fatti affermati dalla controparte.

Il presupposto del provvedimento, emesso dal Giudice istruttore a sua discrezionalità, è quindi la non contestazione della somma di denaro oggetto dell’istanza. La norma, dunque è inapplicabile per il contumace!

L’efficacia dell’ordinanza

Ai sensi del comma 2 dell’art. 186 bis c.p.c., l’ordinanza in esame costituisce titolo esecutivo, ma non è titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale difettando un’espressa previsione di legge in proposito.

La conservazione dell’efficacia dell’ordinanza in caso di estinzione del processo è ritenuta attinente all’efficacia esecutiva dell’ordinanza e non a quella del giudicato (come nel caso del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 653 cpc). Non si può infatti escludere che le parti possano agire con diverso ed autonomo giudizio di cognizione per far dichiarare l’inesistenza del diritto posto a fondamento della condanna.

Si precisa infine che l’ordinanza per il pagamento di somme non contestate, ai sensi dell’art. 177 cpc può essere sempre modificata e revocata dal giudice che l’ha emessa e non può mai pregiudicare la decisione della causa. Il suo contenuto, al contrario, è destinato ad essere assorbito dalla sentenza finale che accolga la domanda di condanna ovvero, al contrario, a perdere definitivamente ogni effetto in caso di rigetto della medesima.

In tale ultima ipotesi, tutti gli effetti del provvedimento vengono meno; di conseguenza l’eventuale esecuzione forzata che sia stata intrapresa in forza di detto titolo (e che non sia ancora stata conclusa) diviene illegittima “ex tunc” (cfr. Cass. sez VI-3, ordinanza n. 20789/2017).

Share Post

Leave a Reply